Intinse le dita nei barattoli delle mie tempere e se le passò sulla pelle, a segnare e disegnare le sue forme.
Erano giorni che non riuscivo ad iniziare il mio ultimo quadro. Una tela desolatamente vuota come terra inaridita.
Ero sconsolato, avvilito, e nervoso. Avevamo litigato. Dovevo averle sbraitato di tutto addosso, anche se non ricordo cosa. Quello che ricordo, e mi sorprese, fu la sua reazione. Si diresse verso i colori sparsi sul pavimento, in un angolo. Abbassò le spalline del prendisole e se lo lasciò cadere. Si chinò affondando le mani, prima nella densa sostanza poi nelle burrose, deliziose rotondità delle sue linee. Passava i palmi, avidi e lenti, su di se.
Mentre i colori le abbracciavano il corpo vedevo realizzarsi su quelle carni l'opera d'arte che ostinata si era rifiutata di apparire sulla tela. Si tingeva ovunque. Si palpava e si offriva, come volesse invitarmi alla creazione di quel sensuale dipinto.
Ed io la desiderai, più di ogni altra cosa. E venne a me, ed in silenzio disegnai sul suo corpo la mia brama.
Non ci sarebbe stata mai più vita su quella tela. L'arte stava ora riposando sul mio petto, ed i suoi capelli mi sfioravano le labbra.
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