lunedì 2 febbraio 2015

Veleno nero

Erano andati via tutti, e Gianchetti (in arte Djanc) era rimasto solo. Come voleva. Attraversò il corridoio nella penombra e nel silenzio assoluto. Fece una smorfia incontrando la targhetta appesa alla porta. ''Direttore''. Gran-figl-di-putt, avrebbe aggiunto volentieri. Ma passò oltre. Entrò nello studio di disegno; dalla tasca interna della giacca tirò fuori una fialetta con un liquido trasparente e lo osservò alla luce di una lampada a bassa potenza. Per un attimo fu turbato da un ripensamento, ma quando l'occhio gli cadde sugli schizzi a matita di alcune vignette si scosse e prese la boccetta della china. Non poteva tirarsi indietro e lei in fondo se lo meritava. Appena uscita dalla Scuola del Fumetto ed era già lì, la troia; a scalzarlo, dopo 30 anni, dal ruolo di disegnatore del mito italiano del West.
Fissò disgustato quei tratti incerti; non c'era elasticità in quei cowboy, né trasmettevano senso del movimento i mustang al galoppo.
''Patrix'', imprecò leggendo la firma dell'autrice. Una stronza che non sapeva tenere in mano una penna; però sapeva usare la bocca, e questo bastava al figl-di-putt. Senza più tentennamenti versò il veleno nella china. Il tempo che avrebbe dedicato all'inchiostratura di quelle tavole sarebbe bastato ad avvelenarla.
Con crudele soddisfazione lasciò lo studio non senza aver salutato, a mo di cowboy, la sua creatura che solenne sul cavallo e winchester in spalla vide tutto da un poster.

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